lunedì 29 aprile 2013

Le cose che abbiamo perso nel fuoco


Le cose che abbiamo perso nel fuoco
Bruciano le foto sul camino.
I nostri ricordi. Quelli resteranno per sempre. Lo sai.
Bruciano le tende che abbiamo scelto insieme.
Ricordi quel giorno?
Ti ho detto di aspettare un bambino.
Invece erano due.
Avrei dovuto ascoltarti quando mi dicevi di smettere di lavorare, che due gemelli erano impegnativi, che i soldi erano sufficienti.
Io avevo la mia carriera e rinunciarvi sarebbe stato come rinunciare ad una parte di me.
La migliore e la peggiore. Scegli tu.
Bruciano i disegni di Joe e Karlie per la festa della mamma.
Alla mamma migliore del mondo.
Non ero certo la migliore, ma ero una madre, ancora prima di essere una giornalista.
Me ne sono resa conto solo quel giorno.
Quando ho saputo cos’era successo, mi sono precipitata sul posto perché volevo essere la prima a dare la notizia, la migliore, la più professionale.
Giusto distacco, sguardo dritto alla telecamera, tono di voce sicuro.
Come al solito, pensavo solo a me stessa.
E’ solo quando ho visto il pulmino che ho capito.
Tutti quei bambini.
Tutte quelle famiglie.
Brucia la carta da parati, così com’è bruciato il pulmino dei nostri bambini.
L’amore avrebbe dovuto salvarci, invece ci siamo distrutti a vicenda.
Una sera, mentre ti chiedevo se volevi ancora zuppa, mi hai detto che non ce la facevi più.
Io sono rimasta lì, seduta davanti alla nostra cena, incapace di muovermi, di alzarmi ed afferrare una manica della tua giacca per impedirti di andare via dalla nostra casa, di tirarti a me per baciarti e piangere e baciarti di nuovo e asciugare le nostre lacrime con i nostri baci.
Avrei voluto gridare, implorarti di restare con me, che non ce l’avrei fatta da sola, non ce l’avrei fatta senza di te.
Eravamo ancora una famiglia, anche senza Karlie.
Eravamo io e te e nostro figlio.
Non mi piace che sia in collegio, non mi piace quel posto, non mi piacciono le idee che gli stanno inculcando, che è normale che ci siano delle bombe sui pulmini, che bisogna andare avanti, che è la vita, che siamo in guerra, che sua madre è una sciocca sentimentale, ancorata al passato.
Forse su questo non hanno tutti i torti.
Ogni tanto, quando penso a Karlie, è ancora viva e sorridente, quando penso a te, siamo ancora sposati e, quando penso a Joe, è ancora il mio bambino piccolo e pauroso.
L’ultima volta che l’ho visto avrei voluto stringerlo forte come quando aveva gli incubi e gli dicevo che c’era la mamma e, con me, lui e sua sorella erano al sicuro.
Avrei voluto baciarlo sulla fronte come quando aveva la febbre e gli dicevo che, così, sarebbe guarito più in fretta.
Poi mi sono resa conto che era un giovane adulto che i compagni avrebbero preso in giro e metterlo in imbarazzo era l’ultima cosa che volevo.
Così quel bacio è rimasto lì – incompiuto – sospeso – abbandonato.
Le cose che abbiamo perso nel fuoco non ci verranno più restituite.
Mia figlia, mio marito, mio figlio.
Brucia l’ultima foto che abbiamo fatto insieme.
E, infine, brucio anch’io.

Il racconto è contenuto all'interno dell'antologia "3013 per un bacio abbandonato" edita da Arpeggio Libero.



2 commenti:

  1. Ciao Giulia,
    ho visto che hai iniziato a seguirmi su Twitter, lietissima di "conoscerti" :)

    Buona giornata!
    Marta

    RispondiElimina